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L’Inquisizione Spagnola:  un mezzo per un fine 

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Parte 3

di Stuart Wallis

Nella prima parte di questa serie, abbiamo esaminato come il popolo ebraico che si stabilì nella penisola iberica divenne rapidamente un popolo influente, ricco e vigoroso. Alla fine del XIV secolo la Chiesa cattolica dominava nella penisola e iniziò a creare quello che divenne noto come “il problema ebraico”. La chiesa costrinse gli ebrei spagnoli a convertirsi o morire nel grande massacro del 1391. Nella seconda parte abbiamo osservato come coloro che si convertirono, i Conversos, furono costretti ad abbandonare la loro antica fede e ad aderire rigorosamente al dogma cattolico. Ce ne furono molti, tuttavia, che non abbandonarono le loro tradizioni, il che portò a un problema più grande per la Spagna: ”Il problema dei Conversos”. Nella terza parte, ci addentreremo nella mente del più sinistro antisemita di quel  tempo, Thomas de Torquemada e osserveremo il suo malvagio piano per punire tutti i Conversos che non avrebbero rinunciato alle radici più remote della loro antica fede.


NIENTE PIETÀ

Nell’anno 1486, con l’Inquisizione in Castiglia ben avviata, diversi Conversos prigionieri si trovarono davanti a un vero e proprio consiglio inquisitorio. Era organizzato a Medina del Campo, in Spagna, ed era composto da tre inquisitori, un assessore e altri funzionari, tutti assistiti dall’abate di Medina. Durante il tribunale, alcuni dei Conversos accusati si riconciliarono con la Chiesa cattolica dopo essere incorsi in pesanti multe; altri, tuttavia, furono bruciati sul rogo per il loro “crimine d’eresia”, cioè l’aver osservato i costumi ebraici e la legge mosaica. Alcuni tra i più fortunati furono assolti dopo un esame approfondito in cui non trovarono motivi validi per imputare una punizione.

Come era consuetudine, il resoconto dell’inquisizione fu documentato e gli incartamenti furono inviati al Grand Inquisitore, Thomas de Torquemada, affinché li revisionasse. Torquemada era diventato il volto dell’Inquisizione spagnola ed era l’ultima autorità in tutte le questioni decisionali di colpa o innocenza, quest’ultima più che rara, come vedremo di seguito.

Perplesso dall’assoluzione e dalla misericordia mostrata verso quegli imputati che erano stati liberati”, Torquemada ordinò che fossero processati  di nuovo in presenza del Licentiate Villalpando, un uomo di “maggiore competenza”, che potesse supervisionare il procedimento. Gli assolti furono nuovamente arrestati, imprigionati e alcuni mesi dopo processati sotto la supervisione di Villalpando. Dopo una revisione del precedente processo, Villalpando fece torturare e poi rilasciare gli uomini, li assolse nuovamente e pubblicò i risultati come definitivi.

Dopo aver appreso l’esito dell’assoluzione dei Conversos per la seconda volta, Torquemada si infuriò, dichiarando che li avrebbe bruciati tutti! Fece arrestare nuovamente i Conversos assolti per due volte, e questa volta li mandò fuori dal distretto a Valladolid, dove i giudici sovraffollati e disinteressati li avrebbero sicuramente giudicati colpevoli. La minaccia di Torquemada fu indubbiamente portata a termine e tutti gli accusati furono bruciati sul rogo1. Dopo gli eventi del 1486 a Medina del Campo, i verdetti di assoluzione furono rari, se mai ce ne fossero siano stati ancora.

TORQUEMADA

Com’è possibile che a un uomo così malvagio sia stato dato il potere di vita e di morte sui Conversos ebrei di Spagna, il cui unico “crimine” era quello di osservare riti ebraici tramandati di generazione in generazione? Nella seconda parte del nostro studio, ho spiegato come l’introduzione dell’Inquisizione romana in Spagna sia stata un’impresa faticosa, approvata con riluttanza dalla regina Isabella solo dopo le immense pressioni esercitate su di lei dal partito antisemita spagnolo, guidato da una schiera di uomini diabolici che risalivano a un secolo prima. A partire dalle rivolte del 1391 (guidate da Ferrand Martinez, che diede agli ebrei di Spagna la possibilità di convertirsi al cattolicesimo o di morire) fino alle continue menzogne ed esagerazioni di Alonzo de Espina e del suo successore, Alonzo de Hojeda, la fiaccola era passata al più letale antisemita di tutti, Tommaso di Torquemada.

Sono stati scritti volumi sulla vita di questo mostro che andava contro gli ebrei di Spagna. Questo breve articolo non può rendere giustizia all’effetto devastante che ha avuto sul mondo e sulle relazioni ebraico-cristiane e non sarà  fatto alcuno sforzo biografico. In questa terza puntata mi propongo di mettere in luce la sua malvagità, che nel libro di Rafael Sabatini del 1913 sull’argomento è stata definita in modo inquietante come un olocausto2. Torquemada era un genio del male che sistematicamente portò all’Inquisizione un ordine che non permetteva in nessun modo ad alcun accusato tra i Conversos di fuggire senza una qualche pena, sia essa pecuniaria o la vita stessa.

L’Inquisizione di Torquemada si incentrò su tre aree principali che esaminerò nel dettaglio:

1) un periodo di grazia;

2) l’Auto de Fe (un “atto di fede” che consisteva in una cerimonia di riconoscimento della colpa prima dell’esecuzione della sentenza);

3) la punizione e il rogo.

 L’INIZIO DELL’INQUISIZIONE

Il 27 settembre 1480, quasi due anni dopo la bolla papale di Sisto IV che autorizzava l’Inquisizione nel regno spagnolo di Isabella di Castiglia, furono stabiliti i dettagli relativi al modus operandi, rendendo i sovrani gli unici beneficiari dell’Inquisizione al posto  di Roma. Il cardinale Mendoza, insieme al fidato consigliere cattolico di Isabella, Thomas de Torquemada, avrebbe svolto il compito di nominare gli inquisitori a partire dalla città di Siviglia, dove l’“eresia” dei Conversos era più dilagante. Furono selezionati due frati domenicani: Juan de San Martino e Miguel Morillo. Questi uomini soddisfacevano lo standard stabilito da Torquemada. Erano entrambi “sacerdoti timorati di Dio”, avevano più di quarant’anni e avevano ottenuto una laurea o un master in teologia e un dottorato in diritto canonico. Per assistere gli inquisitori e registrare tutti i procedimenti, furono nominati altri due sacerdoti. Una rigorosa tenuta dei registri contabili era vitale per garantire che tutti i proventi provenienti dei Conversos colpevoli fossero affidati ai sovrani di Spagna e non a Roma.

Il 9 ottobre 1480, i quattro sacerdoti incaricati partirono per la città di Siviglia, dove furono preceduti da un ordine da parte dei sovrani che intimava a tutti i cittadini di aiutare i due inquisitori nello svolgimento della loro missione di estirpare ogni eresia dalla Spagna. All’arrivo, gli uomini furono accolti cordialmente, ma rimasero sgomenti quando non fu data loro alcun tipo di assistenza. Una colossale “svista” dell’Inquisizione spagnola (che diventerà evidente nell’articolo finale) fu considerare che della prosperità Conversos ne beneficiavano tutti i cittadini spagnoli e che consegnare uno stimato membro della società – che poteva anche essere un caro amico – a una morte certa, non avrebbe fatto altro che danneggiare la città e la nazione.

Non solo fu data poca assistenza ai frati domenicani, ma vi fu anche una notevole assenza di Conversos a Siviglia. La notizia dell’arrivo dell’Inquisizione nella loro città spaventò i Conversos fino a farli fuggire. Il solo pensiero degli inquisitori dal camice bianco e il cappuccio nero in una processione guidata da frati scalzi che trasportano una croce bianca avrebbe messo paura a chiunque.

Molti rifugiati tra i Conversos emigrarono nelle città vicine, dove cercarono rifugio tra i nobili. Questo atto di fuga, agli occhi degli inquisitori, era un sicuro segno di “colpa eretica”, che li portò a promulgare il primo di tre editti che avrebbero spianato la strada a una marea di Conversos da consegnare agli inquisitori o che si sarebbero arresi volontariamente.

L’EDITTO DI GRAZIA

Il 2 gennaio 1481, gli inquisitori ordinarono un editto secondo il quale tutti i nobili del regno di Castiglia, entro quindici giorni dalla pubblicazione dell’editto, avrebbero dovuto fare un resoconto esatto di tutti i Conversos che avevano cercato rifugio nelle loro terre e consegnarli alla prigione di Siviglia. Ai nobili fu anche chiesto di confiscare le proprietà dei rifugiati ebrei che erano ora soggetti agli inquisitori. Nessun nobile o cittadino doveva ospitare un rifugiato, pena la scomunica e la perdita della propria posizione, nonché la punizione come favoreggiatore di un eretico. La severità dell’editto, senza dubbio, fece prendere coscienza ai cittadini spagnoli del pugno di ferro che sarebbe stato impiegato da Thomas de Torquemada e dall’Inquisizione spagnola.

Dopo il severo editto del 1481, presto ne arrivò un altro. Non è chiaro per gli studiosi chi attuò esattamente l’Editto di Grazia, ma sostengono che fu la regina Isabella, che riluttante nel sostenere la crudeltà, insistette che gli inquisitori adottassero questa clemenza. L’Editto di Grazia non era una novità, in quanto l’Inquisizione romana aveva adottato la procedura nel 12353, permettendo ai “colpevoli di apostasia” di presentarsi volontariamente entro il tempo stabilito di quaranta giorni e confessare i propri “peccati” e riconciliarsi con la chiesa. La pratica fu nuovamente concessa a tutti i Conversos che si sarebbero presentati e avrebbero confessato i loro atti di “eresia”, assicurando loro che se lo avessero fatto, sarebbero stati riconciliati e non avrebbero perso né vita né proprietà. Se non avessero approfittato di questo periodo, tuttavia, sarebbero stati perseguiti fino alla massima estensione, come previsto dalla legge.

La risposta all’editto fu massiccia e immediata. Si stima che 20.000 Conversos si fecero volontariamente avanti per ammettere la “colpa” di aver praticato le leggi di Mosè pensando di ricevere un’amnistia e un’assoluzione sicura. A differenza dell’Inquisizione medievale, questa era l’inquisizione di Thomas de Torquemada: era il capo degli antisemiti di Spagna, e nessun atto di ebraismo da parte di un cattolico poteva rimanere impunito. All’insaputa degli ansiosi confessori, erano entrati in una trappola che non solo metteva in pericolo loro, ma anche i loro amici e familiari.

Torquemada modificò l’Editto di Grazia aggiungendo una sua clausola inventata. Per essere pienamente assolti dal “crimine del comportamento giudaista”, la contrizione doveva essere “sincera” (cosa che poteva essere rendicontata solo soggettivamente dagli inquisitori). La seconda e più dannosa clausola prevedeva che il confessore dovesse dimostrare la sua colpevolezza nominando tutti coloro che avevano partecipato con lui al suo atto di “eresia”, oltre a fornire i nomi di coloro che gli avevano insegnato detti atti.

Prima di procedere, vorrei che prendessimo un momento per capire la portata di ciò che Torquemada aveva messo in atto. Molti degli eletti di Dio in realtà avevano abbracciato apertamente la loro nuova fede in Yeshua. Ora era stato chiesto loro di tradire la loro razza e i membri delle loro famiglie che sapevano essere partecipanti ai riti ebraici. Non farlo avrebbe significato la perdita di proprietà, miseria per i loro figli e una morte agonizzante sul rogo. Alla stragrande maggioranza non fu lasciata altra scelta che tradire madri, padri, fratelli, sorelle e persino figli perché nascondere il nome di un partecipante significava macchiarsi di una colpa immediata. Coloro che caddero nella trappola dell’editto non ebbero altra scelta che ubbidire nella speranza di essere assolti. Ciò che all’epoca non si sapeva era che tutti gli accusati erano immediatamente colpevoli del “crimine” di “eresia”; non c’era innocenza. Molti  di quelli che furono arrestati non avevano idea dei “crimini” di cui erano accusati e spesso ne venivano  a conoscenza solo il giorno della sentenza. L’Editto di Grazia non era altro che una trappola diabolica per garantire la confisca dei beni dei Conversos, oltre che mandarne tanti all’ergastolo o alla morte sul rogo.

L’incontrollato Torquemada portò avanti il suo piano, attuato dagli inquisitori Morillo e San Martin, con un’altra arma che avrebbe creato sospetti, tradimenti e tumulti in tutta la città. Il terzo editto decretò che qualsiasi Conversos che praticasse qualsiasi forma di rito ebraico doveva essere consegnato al consiglio inquisitorio o si sarebbe macchiato di un peccato mortale e conseguente scomunica. Nascondere qualsiasi informazione su un Conversos  eretico avrebbe significato essere un favoreggiatore. 

Per la comodità di tutti i “buoni” cattolici, Morillo e San Martin redassero una lista di trentasette articoli4 per aiutare a riconoscere chiunque  partecipasse ai rituali ebraici. Questi articoli non lasciavano nessuno al sicuro dalle grinfie dell’Inquisizione. Questo editto finale divenne una vile opportunità per tutti gli antisemiti di Spagna. Se c’era un Converso che non era gradito per qualsiasi motivo, o se un Converso aveva una posizione di autorità voluta da un “vecchio cristiano”, questa era l’occasione per liberarsi della concorrenza o cercare vendetta contro gli invidiati. Già solo da una campionatura degli articoli si evince che le regole  coinvolgevano chiunque osservasse lo Shabbat, chiunque recitasse i salmi di Davide senza concludere con “Padre, Figlio e Spirito Santo”, e qualsiasi famiglia che desse ai propri figli nomi ebraici dopo il battesimo. Convinti dell’astuzia o alimentati dalla paranoia, alcuni erano soliti salire sul tetto del Convento di San Paolo, il punto più alto di Siviglia,  per cerca di scoprire da quali camini fosse assente di fumo il sabato mattina, un indicatore sicuro di Conversos che osservavano lo Shabbat5.

L’inondazione di vittime tra i Conversos fu così grande che il numero di arrestati a metà gennaio riempiva il sotterraneo del Convento di San Paolo. Non manchiamo di vedere l’ironia qui: un convento che porta il nome dall’apostolo Paolo, imprigionato per la sua fede in Yeshua nel primo secolo, era ora diventato una prigione per coloro che presumibilmente non avrebbero professato apertamente Yeshua nel XV secolo. Con il numero massimo di accusati raggiunto, era ora di dare inizio ai processi prestabiliti.

AUTO DE FE

L’Auto de Fe, o “atto di fede”, era una cerimonia pubblica che culminava con un processo multiforme e stratificato, progettato per umiliare i colpevoli e instillare paura nelle masse. Lì l’“eretico” condannato era fatto sfilare in processione per le strade della città fino a uno spazio aperto dove centinaia di persone della città si sarebbero riunite per assistere allo spettacolo. Tuttavia, tra l’Editto di Grazia e la cerimonia dell’Auto de Fe c’erano molti passaggi, tra cui l’arresto, il processo, la potenziale tortura, la condanna e la pena. Per comprendere appieno la profondità della sofferenza che le vittime dell’Inquisizione spagnola dovettero sopportare, è necessario che lo studente di storia comprenda ogni fase della farsa.

All’arresto, l’accusato sarebbe stato ospitato in una prigione in attesa di processo. Come già accennato, agli imputati non era fornita alcuna informazione sul contenuto del crimine. Il processo era rapido e inizialmente mirava ai Conversos più ricchi, il che dimostrava che l’Inquisizione avrebbe portato anche un beneficio economico ai sovrani. Nei decenni successivi, tuttavia, gli accusati passavano spesso anni in prigione in attesa di processo. Il processo in sé non era un processo di accusa e difesa, ma solo d’accusa: l’imputato era già colpevole. Lo scopo del processo era ottenere una confessione di colpevolezza da parte dell’imputato.

A questo scopo agli accusati era fornita assistenza legale, gli avvocati incoraggiavano i loro clienti a confessare e chiedere pietà. Se gli imputati non confessavano i propri crimini di eresia, spesso si ricorreva alla tortura per estorcere una confessione.

Una volta ottenuta la confessione, il meglio che il Converso poteva sperare era quello di riconciliarsi con la Chiesa cattolica. Tuttavia, la chiesa non poteva ripristinare i penitenti senza la loro “dovuta pena”. Per alcuni, la riconciliazione significava una sentenza peggiore della morte stessa, in quanto l’umiliazione e la miseria non sarebbero mai finite. Oltre alla perdita di tutte le proprietà e i mezzi di sostentamento, l’ulteriore estensione delle pene obbligatorie includeva la confessione aperta di “crimini” contro la chiesa e la partecipazione a sermoni settimanali predicati dai frati francescani che inveivano contro i mali dell’eresia. Per sei anni, i nomi dei colpevoli sarebbero apparsi nella parrocchia e i colpevoli, con le famiglie presenti, avrebbero dovuto ascoltare i loro nomi diffamati durante le feste cattoliche. I riconciliati sarebbero stati sottoposti anche a una formazione correttiva dei rituali cattolici, come fare il segno della croce e recitare il Padre nostro e l’Ave Maria. Due volte l’anno, i riconciliati dovevano riconoscere i loro “peccati di eresia” davanti alla congregazione. Era anche loro severamente proibito di entrare in una sinagoga o in casa di ebrei. Non potevano conversare con ebrei, né potevano farci affari. Se si ammalavano, non potevano assolutamente farsi visitare da un medico ebreo. Qualsiasi violazione delle condizioni di cui sopra avrebbe significato essere ricaduto nell’“eresia” e ne avrebbero sofferto la conseguenza inizialmente risparmiata: la morte sul rogo.

Alcune punizioni aggiuntive, a quanto pare, erano più proiettate a umiliare e incarcerare che alla “riparazione”. Sono più incline a credere che queste restrizioni fossero concepite per creare un fallimento da parte dei Conversos, in modo che potessero essere arrestati nuovamente come relapsos e uccisi. Tali stranezze come il divieto di guidare carrozze o carri, così come l’impossibilità di indossare oro o gioielli di qualsiasi tipo o indossare biancheria pregiata sembravano eccessivi, visti i requisiti di abbigliamento per lo Shabbat. Una sola violazione di qualsiasi restrizione avrebbe significato la morte certa.

I riconciliati erano tenuti sotto stretta sorveglianza. La punizione più umiliante di tutte era riservata ai “crimini” più severi, ed era l’indossare il sanbenito, un indumento che copriva dalla testa ai piedi ed evidenziava la colpa dell’eretico affinché tutti la vedessero. La durata di questa regola variava dalla cerimonia Auto de Fe a tutta la vita.

LA POSTA IN GIOCO

Ai riconciliati spettava una vita di miseria e di ricordo della “colpa”. Agli altri, tuttavia, era riservata una fine più angosciante. Per quei Conversos che non avrebbero “confessato” o i cui crimini di eresia erano “palesi ed eccessivi”, era solo una la giusta punizione prevista nell’Inquisizione di Torquemada: la morte sul rogo. Mentre le condizioni di riconciliazione erano finalizzate all’umiliazione degli accusati, il rogo aveva lo scopo di infondere paura e obbedienza nei cattolici spagnoli. I roghi erano così frequenti che a Siviglia fu costruita per questo scopo una struttura permanente in pietra, conosciuta come il Quemadero o “il luogo del rogo”6. I condannati erano consegnati al braccio secolare del governo per la loro esecuzione, in quanto la Chiesa cattolica non poteva essere lo strumento di morte finale. Per tutto il tempo, i sacerdoti avrebbero implorato i “colpevoli” di confessare i loro “crimini” nella speranza di salvare le loro anime dal fuoco eterno. Coloro che confessavano mentre erano sul rogo avrebbero ricevuto uno strangolamento “misericordioso” prima di essere arsi dalle fiamme. Questa fine barbarica sarebbe stata vista da tutti coloro che partecipavano alla cerimonia dell’Auto de Fe, compresa la famiglia dell’accusato. Immaginate l’orrore di vedere una persona amata bruciata viva, il cui “crimine” non era altro che l’osservanza dell’ebraismo.

Bruciare i vivi non era l’unico mezzo per istillare paura nelle masse. Per coloro che erano fuggiti e che non erano stati recuperati, erano fatte delle effigi e bruciate al loro posto, i loro nomi sarebbero stati associati per sempre all’”eresia” contro la Chiesa cattolica. Il rogo, tuttavia, non si limitava ai presenti o agli assenti. Anche coloro che erano morti in precedenza non erano immuni dalla punizione del rogo. Coloro che erano stati accusati di “eresia” anche nelle generazioni passate, erano riesumati dai cimiteri cattolici e gettati  in cumuli dove sarebbero stati bruciati fino all’ultimo osso. La natura radicale dell’Inquisizione spagnola è stata spesso usata per separare la Chiesa cattolica dalla colpa delle atrocità uniche dell’Inquisizione spagnola, e si potrebbe giustamente concludere che l’esumazione delle ossa dell’accusato fosse eccessiva. Tuttavia, il permesso per questo atto fu concesso retroattivamente da Papa Innocenzo VIII il 15 luglio 1486, che dimostrò non solo la complicità da parte di Roma ma anche la natura fuori controllo dell’Inquisizione spagnola. Il fatto stesso che il permesso fu concesso retroattivamente dimostrò solo che Torquemada agì da solo per tutta la durata del suo mandato.

PRIMA DI ANDARE

La regina Isabella di Castiglia aveva sperato che portando l’Inquisizione nella sua amata terra, potesse creare una nazione cattolica “pura” e onorare la religione che professava. Thomas de Torquemada, tuttavia, la vide come un’opportunità per liberare tutta la Spagna dall’ebraismo, una religione e un popolo che riteneva detestabile e indegno. Nella quarta e ultima parte di questo studio, esamineremo come il piano di Torquemada di liberare la Spagna dall’influenza ebraica dei Conversos fosse un obiettivo irraggiungibile. Gli rimaneva una sola soluzione: l’espulsione degli ebrei spagnoli. Ciò non sarebbe stato facile, tuttavia, in quanto profondamente consapevole dell’esitazione della sovrana a utilizzare questa soluzione. Doveva essere creato un piano che avrebbe instillato paura e odio per gli ebrei di Spagna, non solo da parte dei cittadini spagnoli, ma anche dalla corte reale.

Prima di andartene, vorrei che prendessi un momento per riflettere a tutto ciò che è accaduto fino a questo punto. Come credente gentile in Yeshua, posso solo simpatizzare con il popolo ebraico e con le ingiustizie che, come popolo, hanno vissuto nel corso della storia. Il mio obiettivo è quello di dare una maggiore comprensione di ciò che il popolo ebraico ha sopportato per mano dei cristiani nominali. Su questo argomento, molto di più sarà detto nella parte finale. Fino ad allora, siate benedetti e NON DIMENTICATE MAI.


1) Henry Charles Lea, A History of the Inquisition of Spain, Vol. 1 (Forgotten Books Publishers, 2012), pagg. 175, 551.

2) Raphael Sabatini, Torquemada and the Spanish Inquisition (McAllister Editions, 2015), pag. 53.

3) Henry Charles Lea, A History of the Middle Ages (Kindle Edition, Loc.13271).

4) Sabatini, pagg. 54 – 55.

5) Ibidem, pag. 56

6) Sabatini, pag. 57


Questo articolo è uscito per la prima volta su Ariel Magazine – Fall 2020

Tradotto dall’inglese all’italiano da Martina Pifferi Speciale