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La soluzione finale di Torquemada

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Parte 4

Di Stuart Wallis

NUOVE OPPORTUNITA’ SI MANIFESTANO


Nella primavera del 1490, dieci anni dopo l’inizio dell’Inquisizione di Torquemada in Spagna, Benito Garcia, un ignaro pettinatore di lana, si riposava dai suoi viaggi in una locanda di Astorga, una cittadina settentrionale. Garcia, un sessantenne converso battezzato, si stava riposando nella sala comune della taverna quando un gruppo di uomini ubriachi si avvicinò a lui e iniziò a rovistare nel suo zaino.
Trovano alcune erbe e un wafer, che conclusero essere un’ostia eucaristica consacrata che nessun laico avrebbe dovuto possedere. Il gruppo di ubriaconi, si sentì subito in dovere di mettersi contro Garcia, picchiandolo, infilandogli una corda attorno al collo e trascinandolo dal futuro inquisitore di Astorga, Dr. Pedro de Villada. Villada successivamente continuò a picchiarlo e lo sottopose alla tortura dell’acqua fino a che Garcia non rivelò dove e come aveva acquisito l’ostia e lo scopo “malvagio” per cui la possedeva. Questo non piccolo incidente nella storia dell’Inquisizione portò a ciò che è divenuta nota fino a oggi come la raggelante leggenda de El Santo Niño de La Guardia, il bambino santo di La Guardia.
Il nostro viaggio negli articoli precedenti ha esaminato quasi cento anni di storia sulla penisola iberica e come gli attuali ebrei indigeni spagnoli abbiano avuto la possibilità di scegliere nel 1391 di convertirsi alla religione di stato, il Cattolicesimo, o morire. Quelli che si convertirono crearono una nuova classe di persone, conosciute come i conversos. Nel corso dei decenni successivi, alcuni conversos prosperarono nella loro religione appena trovata mentre altri si rifiutarono di abbandonare il loro passato ebraico. Coloro che si aggrapparono ai rituali dei loro antenati venivano subito considerati “eretici”; il che rese necessario
che l’Inquisizione romana si facesse strada nei regni di Spagna sotto la riluttante autorizzazione della regina Isabella. Il suo fidato consigliere spirituale, Tomás de Torquemada, tramò contro i conversos ebrei della Spagna per introdurre l’Inquisizione. Ben presto si trovò Gran Inquisitore, con il pieno controllo, senza che nemmeno il Papa lo ostacolasse, con l’obiettivo di riportare i conversos ‘eretici’ alla Chiesa Cattolica o farli morire.
Dopo quasi un decennio di angosciante sottomissione, i conversos non diedero il frutto che Thomas Torquemada aveva sperato. Il suo sogno di una Spagna cristiana unita stava diventando sempre meno realtà e sempre più una causa senza speranza. L’abbandono della sua ambizione da parte di Torquemada fu dovuta alla sua convinzione che una Spagna cristianizzata sarebbe stata impossibile finché la razza maledetta avesse abitato la terra e gettato la sua “velenosa rete di menzogne” sui conversos. Nel pensiero di Torquemada, i cattolici recentemente convertiti erano stati costantemente sedotti dal popolo ebraico, che li incentivava a tornare alla legge mosaica. I conversos “recidivi” diventarono sempre più comuni e le conversioni diminuirono perché molti ebrei in Spagna stavano guadagnando sempre più rispetto per coloro che resistevano alla conversione.
Torquemada non ebbe altra scelta se non quella di formulare un piano che convincesse Ferdinando e Isabella a espellere la razza “abominevole”. Tuttavia, non si sarebbe trattato di un compito facile, dato che Ferdinando, che non era uno stupido, vedeva i grandi vantaggi finanziari derivanti dal mantenere il commercio ebraico nella sua terra. Per avere successo, Torquemada avrebbe avuto bisogno di convincere il re e fugare ogni dubbio che la Spagna non avrebbe mai potuto raggiungere il suo “obiettivo cristiano” con il popolo ebraico nel paese. Presto prese forma un piano che avrebbe instillato la paura e la rabbia necessarie in Ferdinando e nei cattolici della Spagna.
Non fu difficile per il Gran Inquisitore trovare azioni di ebrei che, una volta esasperati, sarebbero diventati potenziali minacce per la Spagna cattolica e la Corona. Sebbene ci furono molti atti che alla fine portarono all’espulsione del popolo ebraico dalla Spagna, mi soffermerò solo su tre eventi in particolare. Sono esempi della rabbia, dell’orrore e del sospetto contro il popolo ebraico che Torquemada instillò nei cittadini spagnoli, nonché nel re e nella regina. Presi separatamente, questi eventi furono significativi, ma nel loro insieme furono devastanti.

IL CROCIFISSO A CASAR DE PALOMERO — FURORE

Questo primo incidente, come documentato dallo storico Llorente1, probabilmente non era altro che una festa chiassosa tenutasi in un momento inappropriato.
Durante il Giovedì Santo in un piccolo villaggio di Siviglia, diversi giovani ebrei si stavano divertendo in un frutteto piuttosto che essere a porte chiuse come richiedeva la legge cristiana in giorno santo. Questo richiamò l’attenzione di un vicino, Juan Caletrido, che radunò alcuni spagnoli del posto per mettere fine a questa “abominazione”. La folla prese d’assalto la festa e tutti i giovani ebrei tornarono alle loro case. È qui che probabilmente finisce la realtà della storia.
Tuttavia, il giorno dopo, Venerdì Santo, mentre i fedeli cattolici erano in chiesa per celebrare la Passione, fu riferito che un certo numero di uomini ebrei, tra cui il rabbino del posto, distrussero selvaggiamente un grande crocifisso che si trovava in un campo poco lontano a Puerto del Gamo. Un testimone che si trovava nella chiesa riferì ciò che aveva “visto” alla congregazione. Successivamente, i cittadini cercarono il rabbino e i giovani ebrei della notte precedente e lapidarono a morte tre di loro sul posto. Mozzarono le mani ad altri due e catturarono il rabbino, che fu immediatamente consegnato agli inquisitori locali per estorcergli tutto ciò che sapeva di questo “crimine contro la fede”. Il rabbino fu messo alla gogna ma non seppe cosa confessare. I maltrattamenti subiti furono così gravi che morì per mano degli inquisitori. La morte causata dalle torture fu una conseguenza indesiderata della serata e costrinse gli inquisitori a concedersi l’assoluzione l’un l’altro: un evento davvero paradossale.


IL SACRO BAMBINO DI LA GUARDIA —ORRORE


La successiva circostanza che favorì il sordido piano di Torquemada riguardò una questione riproposta più volte fin dalla sua origine nell’Inghilterra del XII secolo: l’accusa del sangue. Questa recente assurdità veniva di nuovo riproposta per instillare paura e orrore nei non ebrei. Come se seguisse il metodo prescritto per le accuse di diffamazione di sangue dei secoli passati, questa patetica farsa non poteva essere più prevedibile. Come tutte le altre accuse di diffamazione di sangue, anche questa non si basava su fatti concreti, ma per la nazione antisemita ogni opportunità di alimentare il fuoco era benvenuta. Se non fosse stato per i documenti del caso scoperti nel diciannovesimo secolo, che spinsero lo storico M. Fidel Fita a scrivere un libro sull’argomento nel 1887, la storia sarebbe probabilmente scomparsa. Mi limiterò a delineare in modo generale gli eventi, ma incoraggerei il lettore a esaminare ulteriormente questo grande errore giudiziario2.
Come detto sopra, Benito Garcia fu trovato con un’ostia consacrata. Per secoli si era sostenuto che l’ostia consacrata venisse utilizzata per proteggere se stessi o per lanciare incantesimi sugli altri3. Si credeva che le ostie fossero ingredienti usati dalle streghe, che le macinavano fino a ridurle in polvere e le mescolavano al sangue dei bambini per lanciare incantesimi e fare del male4. Queste superstizioni si tramandarono anche al popolo ebraico. Durante l’interrogatorio, Garcia confessò di essersi convertito al cattolicesimo, ma di aver rinunciato alla fede ed essere tornato alla sua religione nativa cinque anni prima.
Ritenendo che ci fosse ancora molto da scoprire, l’inquisitore ordinò d’infliggere a Garcia 200 frustate e di sottoporlo alla tortura dell’acqua, che consisteva nel mettergli uno straccio in bocca e versarci sopra dell’acqua. Garcia confessò immediatamente di aver praticato l’Ebraismo e, come da aspettativa dell’Inquisizione, la vittima indifesa denunciò altri colpevoli e complici. Tra questi un ventenne ebreo di nome Yuce Franco, padre di Yuce, e altri della città. Le torture inflitte a Garcia proseguirono, provocando l’ennesima confessione, senza dubbio delirante, riguardo all’ostia consacrata e alla sua destinazione d’uso. Confessò che l’ostia in suo possesso doveva effettivamente essere usata, insieme al cuore di un bambino, in modo magico per avvelenare i pozzi e far impazzire tutti i cristiani nella speranza di riportare l’Ebraismo al predominio che meritava. Sebbene non vi sia alcuna traccia dell’interrogatorio che portò a questa strana confessione5, è molto probabile che l’inquisitore abbia posto un discreto numero di domande tendenziose per arrivare a tale ammissione. Quella di Garcia non è l’unica scoperta implausibile di questa saga. Ne abbiamo trovata una anche tra gli unici documenti completi che siano stati scoperti, quello del processo a Yuce Franco. Dopo che Garcia ammise all’inquisitore di aver praticato l’ebraismo, Yuce Franco venne immediatamente imprigionato senza che gli fosse fornita alcuna spiegazione. Franco e la sua famiglia non erano conversos e quindi non rientravano nella sfera di competenza degli inquisitori. Tuttavia, chiunque facesse tornare un converso all’ebraismo era un criminale ai sensi della legge spagnola, che aveva dato agli inquisitori il pieno permesso di interrogare a piacimento.
In sintesi, mentre era in prigione, Yuce si ammalò e chiese al suo medico di poter parlare con un rabbino per pregare con lui. Si presentò così un’opportunità per gli inquisitori. Seguendo il consiglio dato da un inquisitore precedente, Nicola Emerico, nel suo Directorum, fu inviata a Yuce una spia domenicana che finse di essere un rabbino. Finora, l’unico “crimine” di cui Yuce si era reso colpevole era stato quello di aver provocato Garcia a re-giudaizzarsi. La spia domenicana interrogò Yuce con numerose domande. All’insaputa di Yuce, le risposte alle domande della spia alla fine causarono l’esecuzione di nove uomini, tra cui lo
stesso Yuce. Una delle domande, senza dubbio, deve essere stata sul motivo dell’arresto di Yuce, poiché abbiamo negli archivi una strana e criptica confessione fatta da Yuce alla spia domenicana: “mita di nahar, che era stato alla maniera di Otohays.”6 Queste parole, rimaste senza traduzione, furono dedotte dalla spia domenicana come il significato del coinvolgimento di Yuce nell’uccisione (mita) di un ragazzo (nahar) sulla falsariga di “quell’Uomo” (Otohays). Nella mente della spia, Yuce aveva così confessato il coinvolgimento nella crocifissione di un bambino, alla maniera di Yeshua, in modo da estrarre il cuore del bambino per l’atto stregonesco già confessato da Garcia.
Nell’apprendere questa confessione, Torquemada si trasferì ad Avila dove poteva sorvegliare gli eventi. Dopo un lungo processo (probabilmente pensato per prolungare lo spettacolo), in totale nove uomini furono consegnati al braccio secolare del governo per essere bruciati sul rogo senza che fosse mai stato trovato il corpo della presunta vittima e senza che fosse mai stata fatta alcuna denuncia della scomparsa di un bambino. Sebbene Garcia avesse giurato di morire nella fede ebraica, confessò la sua “eresia” mentre le fiamme lo avvolgevano e, nel farlo, fu prontamente strangolato da dietro per pietà verso il “penitente.”

I resoconti di questo processo furono ampiamente diffusi in tutti i regni e letti da ogni pulpito, e non sfuggirono ai sovrani. L’orrore e l’indignazione tanto desiderati per questa grande beffa furono ottenuti da Torquemada quando la sua ragnatela era ormai ben formata. Tuttavia, non fu sufficiente a creare eventi sporadici di rabbia e orrore. Torquemada aveva bisogno di un effetto duraturo che creasse una sfiducia ininterrotta.


LA LETTERA DA COSTANTINOPOLI —SOSPETTO


L’ultimo obiettivo della campagna antisemita di Torquemada era quello di creare un sospetto e una paura dell’ignoto così palpabili che non ci sarebbe stata altra scelta se non quella di espellere il popolo ebraico dalla Spagna. Ricevette aiuto dal Cardinale Arcivescovo Juan Martinez Siliceo, che recuperò una presunta corrispondenza scritta cinquant’anni prima dal popolo ebraico di Spagna e il popolo ebraico di Costantinopoli. Nella lettera, gli ebrei spagnoli chiedevano consiglio a quelli di Costantinopoli in merito alle continue pressioni esercitate in Spagna affinché si convertissero alla fede cattolica. Il consiglio dato dai capi ebrei di Costantinopoli fu ciò che fece vacillare l’opinione pubblica e convinse re Ferdinando a redigere il suo ordine di espulsione. Il contenuto della risposta era senza dubbio falsato, ma il seme del dubbio era già stato piantato. La raccomandazione presumibilmente data dal popolo ebraico di Costantinopoli era questa: L’opinione dei rabbini è che, poiché il Re di Spagna tenta di farvi diventare cristiani, dovreste diventare cristiani; poiché vi priva dei vostri beni e delle vostre proprietà, dovreste rendere i vostri figli mercanti, affinché possano privare i cristiani delle loro; poiché dite che vi privano della vostra vita, fate diventare i vostri figli speziali e medici, affinché possano privare i cristiani delle loro; poiché distruggono le vostre sinagoghe, fate diventare i vostri figli chierici, affinché possano distruggere i templi cristiani; poiché dite che subite altri torti, fate entrare i vostri figli in cariche pubbliche, affinché possano così sottomettere i cristiani a loro. Non allontanatevi da questi ordini e vedrete che da oppressi sarete tenuti in grande considerazione7. La risposta di Costantinopoli fu ampiamente diffusa in tutti i regni e fece sì che tutti gli ebrei e i conversos recenti fossero guardati con tremendo sospetto, l’ultimo elemento rimasto del piano di Torquemada. La fabbricazione della lettera gettava il terreno per l’espulsione finale del popolo ebraico dalla Spagna. Con rabbia, orrore e sospetto che circolavano tra i loro sudditi, c’era una sola opzione per il re Ferdinando e la regina Isabella. Il 31 marzo 1492, l’editto di espulsione (il decreto Alhambra) fu firmato dal re Ferdinando, ordinando a tutto il popolo ebraico spagnolo di convertirsi alla fede cattolica o di lasciare la Spagna entro la fine di luglio dello stesso anno: un decreto che non si sarebbe rovesciato fino al 19688. Fu una crudele ironia, dato che solo tre mesi prima il popolo ebraico di Spagna aveva aiutato la monarchia a sconfiggere i Mori musulmani a Granada, ultima tappa della Reconquista. Nonostante il sacrificio della vita, del capitale finanziario e perfino dell’orgoglio nazionale nella sconfitta dei Mori, il popolo ebraico si trovò di fronte al bigottismo, che lo portò ancora una volta a scegliere tra la conversione, la fuga o la morte. La nazione che avevano chiamato casa per un millennio era diventata la successiva grande diaspora nella storia ebraica.

CONCLUSIONI

L’espulsione ebraica non è nulla di nuovo negli annali della loro storia. Decine e decine di nazioni avevano espulso prima quella che ritenevano la razza maledetta e decine di altre ne avrebbero seguito l’esempio negli anni a venire. L’esistenza del popolo ebraico in una certa nazione è raramente vista come dovrebbe essere: «Benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà, e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra» (Ge. 12:3) La “Soluzione Finale” è sempre vista attraverso lenti sataniche: “Il popolo ebraico è cresciuto in forza e grandezza più di noi; pertanto devono andarsene o morire.”
Come vedremo nella quinta e ultima puntata, l’espulsione fu solo l’inizio della difficile situazione ebraica. L’atto malvagio inflitto al popolo ebraico di Spagna creò grandi difficoltà per loro; il disastro e la miseria si trovarono dietro ogni angolo. La malvagità di Torquemada non fece che aumentare man mano che il popolo ebraico si dirigeva verso altre terre. Ma da tanta sofferenza nacque un grande trionfo, come vedremo la prossima volta. Fino ad allora, siate benedetti.


1 Rafael Sabatini, Torquemada e l’Inquisizione di Spagna (McAllister Editions, 2015), p. 131, citando Juan Antonio Llorente, Annals, vol. I, pag. 168.

2 Per le vedute opposte della leggenda, vedi: Sabatini, Torquemada e l’Inquisizione di Spagna, capitoli 19-24; William Thomas Walsh, Isabella of Spain, capitolo 25. Sabatini respinge la leggenda; Walsh la sostiene.

3 R. Po-chia Hsia, The Myth of Ritual Murder (Yale University Press, Londra 1988), p. 10.

4 Ibid.

5 Ciò che si sa di Garcia è registrato nei verbali del processo di Yuce Franco, che sono gli unici documenti
sopravvissuti.

6 Sabatini p. 139.

7 Sabatini, Torquemada e l’Inquisizione di Spagna, p. 174.

8 Vedi: David Hatchwell, “The Reconnection of the Hispanic and Jewish Peoples.” JNS.org, Russel Pergament, Joshua Katzen, 29 July 2020, www.jns.org/spotlight/the-reconnection-of-the-hispanic-and-jewish-peoples/. È notevole che ci sia voluto fino al 20° secolo per annullare questo errore.


Stuart Wallis, “Torquemada’s Final Solution part 4”, Ariel Magazine – Winter 2020, No. 37, pp 28-33. © 2024 Ariel Ministries USA. Tradotto col permesso di Ariel Ministries USA.

Tradotto da Ludovica Antonelli e revisionato da Martina Pifferi Speciale