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Israele tra il conflitto attuale e l’eterno piano di Dio

 

Dr. Tim M. Sigler

Subito dopo le atrocità del massacro compiute da Hamas il 7 ottobre 2023, sono stato contattato da un caro amico che è un pastore molto conosciuto vicino a Washington D.C. Mi ha invitato a predicare in una delle seguenti domeniche, durante i loro tre servizi domenicali mattutini, e durante un seminario serale con un tempo dedicato a  domande e risposte per affrontare cinque domande importanti a cui riteneva che la sua congregazione dovesse essere in grado di rispondere da una prospettiva ebreo-messianica. Il mio amico pastore mi ha detto: “Credo che molte persone siano interessate e preoccupate per ciò che sta accadendo in Israele, ma hanno pochissime conoscenze della questione a causa di pastori che, come me, non predicano adeguatamente su queste cose!” Purtroppo, come ha prontamente confessato, ha ragione riguardo alla mancanza di un chiaro insegnamento e predicazione biblica sul ruolo di Israele nel piano redentore di Dio, su come capire le questioni attuali alla luce dell’insegnamento delle Scritture e su come affrontare biblicamente le sfide etiche che ricevono molto spesso informazioni unilaterali. Ho naturalmente riadattato velocemente il mio programma per poter accettare l’importante invito e affrontare queste questioni critiche. Le domande del pastore erano così attentamente scelte, che i lettori dell’Ariel Magazine potrebbero trovarle preziose. Risponderò alle sue prime tre domande in questo articolo.

1. Perché Israele è speciale per Dio?

Diversi brani della Scrittura affiorano  subito alla mente quando si considera che Dio ha scelto Israele per essere il destinatario delle benedizioni del patto: 

• Per essere benedetto da Dio ed essere una benedizione per tutte le famiglie della terra (Ge. 12:3)

• Per essere erede della terra promessa (Ge. 28:13)

• Per avere il favore speciale di Dio di generazione in generazione (Dt. 7: 7- 9)

• Per avere una linea di re da cui sarebbe venuto infine un giusto sovrano (2 Sa. 7:11-16)

Molti credenti presumono erroneamente che, poiché queste promesse a Israele si trovano nell’Antico Testamento, devono in qualche modo far parte di un piano ormai terminato. Per questo preferisco iniziare osservando quella parte delle Scritture che affronta direttamente questi equivoci. 

Prima di tutto, Paolo non avrebbe potuto essere più chiaro quando istruisce i credenti romani circa i doni e la chiamata di Israele che sono irrevocabili. In Romani 11:28-32, dichiara:

28 Per quanto concerne il vangelo, essi sono nemici per causa vostra; ma per quanto concerne l’elezione, sono amati a causa dei loro padri; 29 perché i doni e la vocazione di Dio sono irrevocabili. 30 Come in passato voi siete stati disubbidienti a Dio, e ora avete ottenuto misericordia per la loro disubbidienza, 31 così anch’essi sono stati ora disubbidienti, affinché, per la misericordia a voi usata, ottengano anch’essi misericordia. 32 Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disubbidienza per far misericordia a tutti.

Paolo stava parlando delle promesse di Dio al popolo ebraico, i discendenti di Abraamo, Isacco e Giacobbe. Osserva che, anche se la maggior parte degli Ebrei era contraria alla messianicità di Yeshua, e poteva quindi essere considerata ideologicamente nemica del Vangelo, sarebbero comunque stati amati a causa delle promesse del patto di Dio stretto coi padri, cioè i patriarchi d’Israele. Questo patto di fedeltà era anche una buona notizia per i gentili poiché rivelava il disegno di Dio di considerare sia ebrei che gentili colpevoli, in modo da poter estendere la Sua divina misericordia, attraverso la salvezza, a tutti coloro che Lo invocano. I doni e la vocazione d’Israele vanno oltre la sua fedeltà ai patti e i credenti gentili possono essere grati che la fedeltà al patto da parte di Dio si estenda oltre la disobbedienza d’Israele. Altrimenti, chi potrebbe essere salvato? 

In secondo luogo, Israele è stato scelto per benedizioni speciali, tra cui l’arrivo del Messia. In Romani 9:3-5, Paolo condivide con i suoi lettori la sua sincera connessione con il suo stesso popolo, quello ebraico:

3 Infatti desidererei essere io stesso anatema e separato da Cristo per i miei fratelli, miei parenti secondo la carne, 4 che sono Israeliti, dei quali sono l’adozione, la gloria, i patti, la promulgazione della legge, il servizio divino e le promesse; 5 dei quali sono i padri e dai quali proviene secondo la carne il Cristo che è sopra tutte le cose Dio, benedetto in eterno. Amen. 

Da notare i riferimenti etnici che associano il popolo ebraico all’antico Israele e al piano di redenzione per tutta l’umanità. Dio ha dato unicamente al popolo ebraico alcune benedizioni che sono elencate in questo brano. Nessun altro popolo può rivendicare queste straordinarie realtà storiche. Dio scelse/adottò il popolo ebraico per far abitare la Sua Shekinah, la Sua Gloria, in mezzo a loro nel Tabernacolo e poi nel Tempio. Dio diede loro le Sue istruzioni nella Torah così come molte altre benedizioni che sono semplicemente riassunte con “le promesse”, molte delle quali sono ben distinguibili nella Scrittura attraverso lo studio dei patti biblici. Ma la benedizione veramente unica di Israele, che ha benedetto tutta la creazione, è stata la venuta del Messia attraverso il popolo ebraico. Nei capitoli successivi di Romani, Paolo descrive il rapporto tra Ebrei e gentili in relazione al Vangelo in termini di debito spirituale. Se i credenti comprendessero correttamente il piano di Dio di portare la salvezza a tutte le famiglie della terra attraverso il popolo ebraico, non esisterebbe l’antisemitismo cristiano. Ma purtroppo, questo è stato spesso preminente nella storia della Chiesa. 

In terzo luogo, la storia  di disobbedienza d’Israele al patto e il fallimento nell’obbedire alla Torah non rende nulle le promesse di Dio di benedire i discendenti di Abraamo. La nazione è ancora amata da Dio e un giorno sarà la destinataria delle Sue benedizioni derivanti dai patti. Paolo sottolinea questo punto in Galati 3:17-18:

17 Or io dico questo: la legge, venuta dopo quattrocentotrent’anni, non annulla il patto ratificato prima da Dio in Cristo, in modo da annullare la promessa. 18 Infatti, se l’eredità derivasse dalla legge, non verrebbe più dalla promessa. Or Dio la donò ad Abrahamo mediante la promessa. 

Molti interpreti hanno cercato di dissociare l’antico Israele biblico dal popolo ebraico odierno, ma non era questo il tono e l’insegnamento del Nuovo Testamento, e non dovrebbe neanche essere un problema che porta confusione nella Chiesa di oggi. Le realtà storiche, etniche, genetiche, linguistiche, culturali e religiose (l’elenco potrebbe continuare) collegano la nazione biblica d’Israele al popolo ebraico e al moderno Stato d’Israele. Nonostante sia corretto osservare che gli avvenimenti biblici legati alla parola “Israele” non dovrebbero essere letti come riferimenti diretti al moderno Stato d’Israele (che ovviamente non esisteva a quel tempo), esiste una connessione tra i due che non dovrebbe essere tralasciata: il popolo ebraico di oggi è la continuazione dell’Israele biblico e la storia del popolo ebraico è il fulcro della storia e della profezia biblica. 

In quarto luogo, alla luce di questi riferimenti estremamente diretti nel Nuovo Testamento, si potrebbe aggiungere una dichiarazione del profeta del post-esilio, Zaccaria. In Zaccaria 2:7-10, il profeta dichiara: 

7 Ohi, Sion, mettiti in salvo, tu che abiti con la figlia di Babilonia! 8 Poiché così dice l’Eterno degli eserciti: «La sua gloria mi ha mandato alle nazioni che vi hanno depredato, perché chi tocca voi tocca la pupilla del suo occhio. 9 Ecco, io agiterò la mia mano contro di loro, ed esse diventeranno preda di quelli che erano loro asserviti; allora riconoscerete che l’Eterno degli eserciti mi ha mandato. 10 Manda grida di gioia, rallegrati, o figlia di Sion, perché ecco, io verrò ad abitare in mezzo a te», dice l’Eterno. 

In sintesi, Dio ama il popolo ebraico di un amore eterno. Israele è la pupilla del Suo occhio, e Dio ha scelto Gerusalemme come Sua dimora.

2. Chi sono i Palestinesi? 

Il termine “Palestina si riferisce alla terra che una volta era l’antico regno d’Israele e che in seguito è stata divisa in Giudea, Samaria, Galilea e Idumea (o Negev). Ha avuto origine nel 132 d.C. circa, come mezzo per rimuovere il legame del popolo ebraico con quella terra. La pazienza dell’imperatore romano Adriano era giunta al limite nei confronti dei ribelli ebrei, che non cessavano di dimostrare il loro zelo nel rivendicare la terra dei loro padri. Quindi, con un atto che oggi definiremmo guerra psicologica, Adriano represse la rivolta di Bar Kokhba e convertì il nome Gerusalemme in Aelia Capitolina e il nome della regione in Palestina. Scelse di designarla come la terra dei Filistei, un popolo di mare citato nella Bibbia, perché era uscito di scena dalla storia e non poteva più rappresentare una minaccia. È un bene che la ridenominazione di Gerusalemme non sia rimasta. Tuttavia, il nome Palestina ha fornito confusione storica per quasi duemila anni. 

Per essere chiari, tutti i residenti ebrei, arabi e chiunque altro vivesse nell’area, prima del 1948, erano considerati palestinesi in termini geografici. Anche il quotidiano che promuoveva la prima visione sionista di speranza per il popolo ebraico nella sua antica patria biblica era chiamato The Palestine Post (precursore del The Jerusalem Post). Come nella storia della maggior parte delle terre che sono state esplorate, insediate e trasformate in Stati moderni con governi organizzati, i primi coloni sionisti arrivarono in una situazione piuttosto disorganizzata alla fine del 1800, sotto l’Impero Turco Ottomano. Non esisteva uno Stato palestinese. Se ci fosse stato, potremmo leggere della sua storia e sapere chi erano i suoi presidenti o primi ministri e leader politici. Eppure nulla di tutto ciò esiste. C’erano città con una popolazione a maggioranza ebraica, e città a maggioranza araba, dove vivevano e lavoravano in cooperazione l’uno con l’altro nonostante le differenze religiose e culturali.

Nel dopoguerra, che seguì l’Olocausto, le Nazioni Unite riconobbero vari nuovi governi in Medio Oriente, vennero formati vari stati moderni là dove un tempo i Francesi avevano il Libano e la Siria e i Britannici avevano la Palestina. Le Nazioni Unite fornirono anche il loro famoso Piano di Partizione del 1947 per far sì che alcune delle sezioni costiere meno attraenti, paludi infestate dalla malaria vicino alla Galilea e una buona parte del deserto diventassero la futura patria del popolo ebraico. La terra migliore nella parte collinare centrale doveva andare alla popolazione araba. Tuttavia, il piano non fu accettato dalle nazioni arabe circostanti. Israele dichiarò la sua indipendenza dalla Gran Bretagna il 14 maggio 1948, la sua legittimità fu riconosciuta da diversi governi stranieri e, nell’arco di un anno, anche dalle Nazioni Unite. Gli Arabi del luogo furono invitati a rimanere e a diventare cittadini del nuovo Stato formato e, coloro che lo fecero, oggi, sono considerati Arabi israeliani. Gli Arabi locali che si schierarono con le nazioni circostanti per distruggere il nuovo Stato appena formato finirono per perdere la guerra e furono sfollati. Le Nazioni Unite istituirono campi profughi in Cisgiordania (Giudea e Samaria bibliche), nella Striscia di Gaza, in Giordania, in Libano e in Siria. Queste non erano prigioni, ma luoghi di rifugio da una guerra che era stata persa.

La guerra è orribile e comporta perdita di vite e tragedie umane. Nella maggior parte delle guerre, coloro che vengono sfollati come rifugiati devono rifarsi una vita altrove. Quando i rifugiati giapponesi fuggirono verso le coste degli Stati Uniti, divennero infine cittadini americani. I conflitti successivi produssero altri rifugiati provenienti dalla Corea e dal Vietnam. Chiunque fosse direttamente sfollato a causa della guerra era legittimamente considerato un rifugiato. Una volta reinsediati, divennero cittadini dei loro nuovi paesi e i loro figli ne erano cittadini. Tuttavia, a differenza di quanto è stato fatto per qualsiasi altro popolo, l’ONU ha istituito l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione (UNRWA) per quegli Arabi che erano stati sfollati dalla Guerra d’Indipendenza Israeliana. Questa decisione ha mantenuto gli Arabi e tutti i loro discendenti dopo di loro in uno stato di rifugiati perpetui, anche se sono di terza generazione e non hanno mai nemmeno visitato la terra dove una volta vivevano i loro nonni. È questo gruppo multigenerazionale di persone che ha affermato di essere il vero popolo palestinese. Yasser Arafat, dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, affermò che gli Ebrei non sono legittimamente collegati alla Palestina, ma lo sono gli Arabi: «Noi siamo i veri Palestinesi!» Questo ha portato a pretese assurde di una cultura palestinese indigena distinta dal resto della cultura araba. Di nuovo, se esistesse una tale cultura, chi sono i suoi leader? Quali sono i suoi importanti segni culturali che la rendono diversa dalle altre culture arabe? Le affermazioni di una cultura palestinese unica cercano di invocare la necessità di uno stato palestinese unico piuttosto che, semplicemente, mescolarsi con i paesi arabi maggioritari circostanti che condividono la stessa lingua, cultura, costumi, religione(i), ecc.

Sopra: Nel 1950, The Palestine Post ha cambiato il suo nome in The Jerusalem Post.

Infine, la maggior parte dei Palestinesi non riconosce Israele. Non riconosce il diritto di Israele a esistere (da qui il desiderio di una jihad continua fino a che non sia raggiunta “l’eliminazione del Sionismo in Palestina) o non riconosce Israele come un partner legittimo in una soluzione a due stati. Questo fatto è chiaramente osservato nelle mappe create dall’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) e successivamente dall’Autorità Palestinese. Su queste mappe, la Palestina è tutto ciò che oggi è conosciuto come Israele, e l’OLP vuole che tutto il territorio sia liberato dai sionisti. Non ci sono leader politici, che siano considerati seriamente tra i Palestinesi, che promuovono una risoluzione pacifica del conflitto. 

Questo non vuol dire che non ci siano Palestinesi che amano la pace. Conosco personalmente alcuni di loro, e sono grato di chiamarli amici. Tuttavia, queste persone di pace sono intrappolate in una cultura più ampia di odio e violenza. Se parlano troppo forte, rischiano di essere puniti. I leader hanno un controllo stretto sulla cultura nel suo insieme, tanto che quando si verificano atrocità e muoiono persone innocenti, si sono viste perfino le nonne ballare per strada tenendo cartelli “Free Palestine” a sostegno della “resistenza”.

Ci sono anche alcuni meravigliosi, ma emarginati accademici palestinesi, che hanno suggerito un percorso diverso dalla jihad, però una pace negoziata con gli Israeliani non è ciò che viene insegnato nelle scuole, nemmeno nelle scuole sponsorizzate dall’ONU. Molti leader occidentali hanno deplorato la cultura dell’odio inflitto ai bambini palestinesi, a cui viene insegnato a pugnalare, lapidare o altrimenti danneggiare e uccidere gli Israeliani. I cartoni animati per i giovani bambini palestinesi hanno idealizzato il martirio e promosso gli attentati suicidi come parte dell’intrattenimento infantile.

Purtroppo, i Palestinesi non hanno consenso elettivo. Mahmoud Abbas è stato eletto presidente nel gennaio 2005 per un mandato di quattro anni, e da allora non ci sono state altre elezioni. Questo disordine democratico ha portato il partito Fatah ad avere la maggioranza nella West Bank (Cisgiordania), e Hamas ha preso il controllo della Striscia di Gaza nel 2006. C’è anche una mancanza di consenso nell’OLP e questa mancanza di leadership ha portato a far sì che molti gruppi, che competono per il potere, cercano di mostrarsi forti nei loro attacchi contro Israele. Questo è il motivo per cui non c’è stato un unico leader tra i Palestinesi con cui tentare seri negoziati, proposte di pace o soluzioni al conflitto.

Coloro che si identificano come Palestinesi oggi, quindi, hanno bisogno del messaggio del Vangelo come qualsiasi altro gruppo al mondo. Dio ama i Palestinesi così come ama tutte le persone, e siamo chiamati ad amarli anche noi, pregando per loro. Preghiamo in particolare per i credenti palestinesi affinché siano audaci nella loro testimonianza in modo che molti possano arrivare alla fede salvifica nel Messia. 

3. Gli Ebrei sono occupatori della terra palestinese?

La Bibbia e la storia mostrano una presenza ebraica duratura nella terra oggi conosciuta come Israele. Come  le testimonianze archeologiche rivelano chiaramente, scavare in questa terra svela artefatti della storia ebraica e antichi testi ebraici. Poiché non c’è mai stato uno “stato palestinese”, è impossibile difendere la posizione secondo cui il popolo ebraico è venuto e lo ha rubato ai Palestinesi. Quando i primi coloni sionisti arrivarono nella terra dove c’erano sia residenti locali ebrei che arabi, acquistarono e ottennero terreni che erano stati utilizzati dai beduini locali per il pascolo delle loro mandrie. Alcuni di quegli stessi beduini godono ancora del libero passaggio e dell’uso della stessa terra e hanno buoni rapporti con lo Stato d’Israele. I coloni ebrei hanno recuperato paludi infestate dalla malaria e le hanno fatte fiorire con l’agricoltura. Hanno cercato un’esistenza pacifica con gli Arabi locali, e molte famiglie di Ebrei e Arabi sono coesistite in armonia e hanno goduto di un commercio reciprocamente vantaggioso.

Quando lo Stato d’Israele fu formato, agli Arabi locali fu data l’opportunità di rimanere e partecipare. La Dichiarazione d’Indipendenza di Israele afferma: “CI APPELLIAMO – proprio nel bel mezzo dell’attacco iniziato contro di noi da mesi – agli abitanti arabi dello Stato d’Israele per conservare la pace e partecipare alla costruzione dello Stato sulla base di una piena e uguale cittadinanza e di una rappresentanza adeguata in tutte le sue istituzioni provvisorie e permanenti.” Molti Arabi locali rimasero e sono diventati una parte integrante dello Stato d’Israele. Anche oggi, ci sono Arabi israeliani che servono come membri eletti alla Knesset e rappresentano le loro popolazioni. Qualsiasi dichiarazione di apartheid è semplicemente falsa.

CONCLUSIONI 

Questo articolo cerca di fornire una risposta concisa ad alcune delle domande complesse che circondano l’attuale conflitto d’Israele e il piano eterno di Dio. La prospettiva ebreo-messianica si basa sulla sufficienza della Scrittura. È influenzata dalla lingua, storia, cultura e geografia. Prende sul serio la profezia biblica e interpreta le Scritture con un approccio storico-grammaticale letterale. Mostra, infine, che il nostro Messia,  è venuto come Agnello di DIO per togliere il peccato del mondo. Egli è il Principe di Pace, Colui che porterà la pace nel combattimento spirituale nei luoghi celesti, e  un giorno qui sulla terra, per Israele e le nazioni. È Colui che Israele attende e Colui che, sia Ebrei che gentili, possono accogliere come personale Salvatore dal peccato, oggi – Yeshua HaMashiach. Di Lui il profeta Zaccaria scrisse, L’Eterno sarà re su tutta la terra; in quel giorno ci sarà soltanto l’Eterno e soltanto il suo nome (Za. 14:9). Isaia 9:6 promette ulteriormente:

Non ci sarà fine all’incremento del suo impero e pace sul trono di Davide e sul suo regno, per stabilirlo fermamente e rafforzarlo mediante il giudizio e la giustizia, ora e sempreQuesto farà lo zelo dell’Eterno degli eserciti


Il Dr. Tim Sigler è stato invitato dal Dr. Arnold Fruchtenbaum a guidare la nuova generazione di Ariel Ministries nella testimonianza del Vangelo e fedeltà dottrinale. È un esperto di lunga data nel ministero ebreo-messianico e professore di studi ebraici e biblici. Mantiene una presenza internazionale attiva come professore ospite, relatore di conferenze, consulente di ministero e autore.

Dr. Tm Sigler, “Israel’s Current Conflit and God’s Eternal Plan” part 1, Ariel Magazine – Spring 2024, No. 50, pp. 8-14. © 2025 Ariel Ministries USA. Tradotto col permesso di Ariel Ministries USA.

Tradotto da Martina Pifferi Speciale

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