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IL TEMPO NON È DALLA TUA PARTE

DI MARVIN KRAMER

Le nostre prospettive nella vita tendono spesso a concentrarsi su qualcosa che è comune a tutti noi: il tempo. Siamo individualmente unici, diversi l’uno dall’altro, in una moltitudine di modi. Ma condividiamo ciò che Dio ha dato a tutti noi, cioè lo stesso numero di ore in un giorno. Il modo in cui usiamo quel tempo rivela anche la nostra prospettiva eterna. In linea con questa prospettiva, la nostra vita si misura in base a quanto elargiamo, non a quanto duriamo.

Quando pensiamo ai Salmi, ci viene sempre in mente il re Davide, il dolce salmista d’Israele (2 Sa. 23:1). Eppure, probabilmente, il salmo più antico è il Salmo 90, che è una preghiera di Mosè. Le Scritture rivelano: “Non è più sorto in Israele un profeta simile a Mosè, con il quale l’Eterno trattava faccia a faccia” (Dt. 34:10). Dio misurava il cuore di Mosè, non la sua testa. Una benedizione molto usata in Israele è: “Che tu possa vivere fino a 120 anni”. Questa benedizione non è solo un riferimento all’età di Mosè quando morì, ma anche al fatto che poteva ancora vedere bene e la sua forza non era diminuita.

La vita di Mosè può essere facilmente suddivisa in tre periodi di quarant’anni ciascuno. I suoi primi quarant’anni li trascorse come principe in Egitto, imparando ad essere qualcuno. I quarant’anni successivi li trascorse nel deserto, imparando ad essere nessuno. Durante gli ultimi quarant’anni della sua vita, guidò i figli di Israele imparando che Dio può prendere quel nulla e farlo diventare qualcosa.

LA PREGHIERA DI MOSE’ NEL SALMO 90

Il Salmo 90 presenta dei contrasti tra ciò che è temporale e passeggero e ciò che è eterno e permanente. Esso rivela le differenze tra il punto di vista umano e quello divino.

La più volte citata preghiera di Mosè è espressa nel versetto 12, mentre presenta la sua richiesta: “Insegnaci dunque a contare bene i nostri giorni, per acquisire un cuore saggio”. Dal punto di vista dell’Antico Testamento, la saggezza è qualcosa di più della semplice comprensione di una questione. Comprende l’applicazione di tale comprensione alla nostra vita. In breve, la saggezza biblica è sapere come vivere abilmente.

Il risultato finale, il risultato desiderato della preghiera di Mosè, si trova nell’ultimo versetto del salmo: “La grazia del Signore nostro Dio sia sopra di noi, e rendi stabile l’opera delle nostre mani” (v. 17). Il favore di Dio e la sua conferma sono il duplice risultato di una vita sapiente. Nella sua richiesta di un cuore saggio, Mosè pregava che Dio facesse risplendere il suo volto su di noi e facesse durare le cose che facciamo.

Ma in che modo l’acquisizione di un cuore saggio ci aiuta a raggiungere il risultato finale? Qual è il processo attraverso il quale questo può essere fatto? La prima cosa è capire che i nostri giorni sul pianeta Terra sono limitati: “Tu fai ritornare i mortali in polvere, dicendo: «Ritornate, figli degli uomini»” (v. 3). In altre parole, la morte, l’ultima frontiera, è una realtà e una certezza.

Mosè parlava per esperienza. Negli ultimi quarant’anni della sua vita vide circa due milioni di funerali, una media di 50.000 all’anno, 137 al giorno, 5,7 all’ora. Questa palla celeste è un cimitero gigante. La morte è un argomento di cui la gente non ama parlare. La maggior parte della gente, ha la prospettiva che siamo nella terra dei vivi, sulla strada verso la terra dei moribondi quando, in realtà, è vero il contrario. Siamo nella terra dei moribondi in cammino verso la terra dei vivi! Quindi, il primo passo per acquisire un cuore saggio è riconoscere che il nostro tempo di vita è limitato.

Inoltre, dobbiamo riconoscere che la vita è breve. Essa è, in termini scritturali, fugace e come un vapore (Gc. 4:14). Poiché se ne va così rapidamente, dobbiamo trattarla come se fosse preziosa. Quante volte coloro che sono avanti negli anni si guardano intorno e dicono: “Tutto ciò che dobbiamo fare è chiedere ai nostri figli, se vogliono un resoconto di prima mano della ‘vita sull’Arca’ ”. I nostri figli è difficile che non ridano quando vedono le foto della nostra adolescenza e si meravigliano del fatto che una volta eravamo anche noi degli sportivi.

Per apprezzare questo fatto, Mosè ci regala immagini di parole che catturano il pensiero e ci aiutano a misurare la nostra esistenza rispetto all’eternità. La prima si trova all’inizio del versetto 4: “Perché mille anni sono ai tuoi occhi come il giorno di ieri ch’è passato”. Mosè dice che dal punto di vista di Dio, mille anni della vita di un uomo sono come ventiquattro ore. È un concetto difficile da afferrare per il semplice fatto che nonostante possiamo relazionarci con un giorno che passa, non possiamo relazionarci con mille anni. Se manteniamo l’equazione, ma riduciamo i numeri, potremmo rendere il confronto più pratico. Per esempio, possiamo comprendere la realtà di una persona che vive fino a cent’anni. Ma se cambiamo il numero di anni dal punto di vista di Dio, dobbiamo cambiarlo anche dal punto di vista dell’uomo. La matematica di base richiede un adeguamento di entrambi i lati dell’equazione.

Se dividiamo per 10 e cambiamo da 1.000 a 100, dobbiamo anche dividere 24 per 10, il che ci dà 2,4 ore. Solo a scopo di discussione, possiamo vedere che da una prospettiva divina, le nostre vite vanno e vengono in meno del tempo che abbiamo tra la colazione e il pranzo. Se questo non basta a convincerci che la nostra vita è come un vapore, Mosè continua, come se dicesse che 24 ore sono troppo lunghe. Così, riflettendo, aggiunge nella seconda parte del versetto 4: sono [mille anni è] “come un turno di guardia di notte”. Le persone che sono state nell’esercito possono facilmente comprendere questa espressione. Sanno che un turno di guardia è un periodo di sole tre ore, per un totale di 180 minuti. Usando lo stesso metodo per rendere il periodo di tempo comprensibile per noi, se consideriamo 100 anni di vita, o un decimo del tempo menzionato nel versetto, allora dobbiamo dividere le tre ore anche per 10, dandoci solo 18 minuti o poco più di un quarto d’ora. E se consideriamo che Mosè ci dà un arco di tempo per la nostra vita di 70-80 anni (v. 10), vediamo che da una prospettiva eterna, la nostra vita non è che un vapore.

Tuttavia, Mosè non si ferma qui. Continua con un’altra immagine nel versetto successivo: “Tu li porti via come in una piena; sono come un sogno” (v. 5). Non stava parlando dell’allagamento di un seminterrato o di un sistema fognario, ma di eventi provenienti da corpi d’acqua di mare. In riva al mare, vediamo le onde che entrano e le maree che escono, un’immagine perfetta del flusso della vita. Proprio quando ci si abitua a una generazione, è tempo di essere sostituita da quella successiva. Tutti noi lo sperimentiamo. Nessuna generazione ne è esente. Questo vale anche per la tecnologia dei telefoni cellulari. Così come impariamo a usare un certo modello, esso viene sostituito da quello della generazione successiva.

Nell’ultima parte del versetto 5 e nel versetto 6, Mosè dà poi un’altra illustrazione familiare della natura: “Sono come l’erba che verdeggia la mattina; la mattina essa fiorisce e verdeggia, la sera è falciata e inaridisce”. Questa osservazione è facile da capire, e la viviamo regolarmente, anche se non ci facciamo caso. Per esempio, compriamo dei fiori, li portiamo a casa e li mettiamo in un vaso. Il loro profumo riempie la stanza. Ma in pochi giorni i fiori appassiscono e dobbiamo buttarli via. Attraverso queste immagini di parole, Mosè ci dice che abbiamo solo una piccola fetta di tempo per influenzare il nostro mondo. Tuttavia, c’è qualcosa di eterno e, quindi, significativo nella vita, e Mosè lo sapeva. Se il messaggio della sua preghiera fosse solo che la morte è certa e la vita è breve, allora soccomberemmo a un atteggiamento di disperazione e concluderemmo che la vita non è degna di essere vissuta, quindi perché non dobbiamo darci un taglio e farla finita? Una tale prospettiva non solo non è scritturale, ma è contraria alla nostra esperienza. Noi aneliamo a ciò che durerà, a ciò che darà permanenza ai nostri nomi e alle nostre opere. Tutti noi abbiamo un bisogno “integrato” di valore, di significato e di scopo.

Mosè, essendo un uomo che temeva Dio, sapeva dove trovare tale significato e scopo, e formulò la sua preghiera a Dio, che è eterno: “Signore, tu sei stato per noi un rifugio d’età in età. Prima che i monti fossero nati e che tu avessi formato la terra e l’universo, anzi, da eternità in eternità, tu sei Dio.” (vv. 1-2).

La brevità del tempo in cui viviamo la nostra vita, assume un significato solo quando la misuriamo alla luce dell’eternità. Ciò che facciamo non è importante quanto il modo, l’atteggiamento e il motivo per cui lo facciamo. Se guardiamo la nostra vita da una prospettiva eterna, questa farà la differenza nelle cose che facciamo. L’apostolo Paolo l’ha espresso in questo modo: “Qualunque cosa facciate, fatela di buon animo, come per il Signore e non per gli uomini” (Cl. 3:23). Quest’opera non è vana (1 Co. 15:58). Avere una prospettiva eterna ci impedirà di essere contagiati dalla mania di mediocrità che affligge la società di oggi.

Una cosa faccio

Il Signore Yeshua ha avuto un breve periodo di tempo per compiere la volontà del Padre, ma aveva anche delle priorità in mezzo alle pressioni. Aveva un obiettivo e ha perseverato fino a raggiungerlo. L’apostolo Paolo ripeté questa verità quando disse: “Una cosa faccio” (Fl. 3:13), e non “cento cose devo fare”.

Quando pensiamo a Mosè, non possiamo evitare di pensare ai figli di Israele che egli ha guidato. Essi persero le benedizioni che Dio aveva preparato per loro, perché non si fidarono di Dio e non presero seriamente la sua parola. Dio diede loro istruzioni, ma essi vollero una delegazione per decidere se Dio avesse ragione o torto. La delegazione controllava ciò che Dio diceva e tornò con due resoconti, un resoconto era sostenuto dalla maggioranza e uno dalla minoranza. La minoranza disse che il popolo avrebbe dovuto fare ciò che Dio aveva detto. La maggioranza disse: “Non ci riusciremo e non lo faremo”. La decisione della maggioranza vinse. In quella situazione, la maggioranza non aveva solo torto, aveva torto marcio!

A causa della loro mancanza di fede, gli israeliti passarono in totale quarant’anni a vagare in circolo nel deserto – un anno per ogni giorno in cui avevano spiato la terra – prima di potervi finalmente entrare. Dopo aver verificato che la descrizione che Dio aveva dato della terra era vera, il popolo agì ancora nell’incredulità. Dal tempo del loro primo arrivo a Kadesh Barnea fino al loro successivo ritorno, un’intera generazione morì. Durante tutto quel periodo, non ci fu niente di speciale da raccontare delle loro vite. Nulla di eterno da raccontare della loro opera. Come risultato della loro incapacità di credere a Dio sulla parola, dovettero ammazzare il tempo fino alla loro morte.

E noi? Dio ci ha dato il Grande Mandato (Mt. 28:19-20). Ci ritireremo come i figli di Israele nell’incredulità e diremo: “Non possiamo farcela”? Ciò non sia mai! Che la nostra preghiera sia come quella di Mosè: “Insegnaci dunque a contare bene i nostri giorni, per acquistare un cuore saggio” (v. 12).

Che il favore del Signore sia su di noi e che Egli conceda stabilità alla nostra opera, affinché essa superi la prova del tempo e dell’eternità. Che la nostra fede sia sempre sufficiente a credere a Dio, alla sua parola e ad agire di conseguenza, in modo da evitare la maledizione del vivere la vita ammazzando il tempo e affinché nell’eternità potremo ascoltare queste parole: Ben fatto, buono e fedele servitore (Mt. 25:23). Che sia così!

E’ un avvocato messianico in Haifa, Israele. In aggiunta al suo lavoro legale, è anche General Manager di “A Future and A Hope”, una organizzazione pro-life, fondata insieme a sua moglie Orit, che all’interno dell’organizzazione svolge il ruolo di consulente di educazione sessuale . Marvin è anche un insegnante biblico e anziano della loro chiesa locale. Marvin ed Orit hanno tre figli, il più piccolo dei quali è un ufficiale della Israel Defense Forces (IDF).

Marvin Kramer

Tradotto da Martina Pifferi Speciale

Questo articolo è apparso per la prima volta in Ariel Magazine USA, nel Marzo 2020

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