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Il cammino del credente: come parlare nel modo giusto

Di Jacques Isaac Gabizon

Giacomo, il fratellastro di Yeshua e primo pastore della congregazione a Gerusalemme, ha scritto la sua epistola con due scopi in mente: rafforzare la chiesa in vista della persecuzione che stava per affrontare e concentrarsi su un modo di vivere pratico, ripieno di Spirito. Comincia a sviluppare questo secondo scopo nel capitolo 1, ai versetti 19-25. Come Jacques Isaac Gabizon mostra in questo articolo, Giacomo incoraggia i suoi lettori a concentrarsi sulla condotta piuttosto che sul credo, sul comportamento piuttosto che sul credere, sulle azioni piuttosto che sulla dottrina.

Perciò, fratelli miei carissimi, sia ogni uomo pronto ad ascoltare, lento a parlare e lento all’ira, perché l’ira dell’uomo non promuove la giustizia di Dio. Perciò, deposta ogni lordura e residuo di malizia, ricevete con mansuetudine la parola piantata in voi, la quale può salvare le anime vostre. E siate facitori della parola e non uditori soltanto, ingannando voi stessi. Poiché, se uno è uditore della parola e non facitore, è simile a un uomo che osserva la sua faccia naturale in uno specchio; egli osserva se stesso e poi se ne va, dimenticando subito com’era. Ma chi esamina attentamente la legge perfetta, che è la legge della libertà, e persevera in essa, non essendo un uditore dimentichevole ma un facitore dell’opera, costui sarà beato nel suo operare.

Giacomo 1:19-25

Spesso, soprattutto i nuovi credenti in Yeshua il Messia, si chiedono come vivere la propria vita con Dio. Giacomo è molto attento nel fornire alcune osservazioni, spiegando che le parole, le azioni e i pensieri dei credenti devono riflettere Colui che li ha salvati.

Il brano studiato in questo articolo è semplice e inestimabile, un tesoro per coloro che vogliono migliorare il loro viaggio con Dio. Termina con le parole: “costui sarà beato nel suo operare”. 

Se si segue Dio e i Suoi precetti, le benedizioni si diffondono in ogni aspetto della propria vita. Dio apre per loro le “cateratte del cielo” e riversa per loro “tanta benedizione, che non avrete spazio sufficiente ove riporla” (Ml. 3:10).

Quanto alla Parola di Dio, pochi probabilmente realizzano appieno il grande potere che emana la Bibbia. Giacomo, tuttavia, è ben conscio e al contrario eleva la Bibbia. Al versetto 18, egli chiama le Scritture “la parola di verità“.  Quindi è “la parola impiantata” (v. 21), uno “specchio” (v. 23), la “legge perfetta” e la “legge della libertà” (v. 25). In seguito, al capitolo 2:8, Giacomo la chiamerà “legge regale”. Elevando la Parola di Dio, Giacomo eleva Dio ancora più in alto. Nel suo insegnamento Dio prende il primo posto.

Essendo interessato al cammino del credente, Giacomo adesso presenta una formula vincente al versetto 19, dicendo: “sia ogni uomo pronto ad ascoltare, lento a parlare e lento all’ira”. Questa è una regola composta da tre elementi: veloce, lento, lento. Tali regole erano ben note ai lettori di Giacomo. I rabbini la usavano spesso per comunicare parole di saggezza. Nella Mishnah, la loro legge orale, uno di loro disse: “Scopri cosa c’è sopra di te: (1) Un occhio che vede e (2) un orecchio che ascolta, e (3) tutte le tue azioni sono scritte in un libro. In un’altra sezione, un rabbino disse: “Su tre cose poggia il mondo: (1) Sulle Scritture, (2) sul servizio del Tempio (3) e sulle opere di amorevole gentilezza”.

Nonostante Giacomo usi la regola dei tre per chiarire il suo punto, si spinge oltre l’essere dell’individuo e si concentra sulla parola parlata. La parola tradotta come “collera” al versetto 19   non è in grado di descrivere completamente la parola greca originale, orge. Orge è usato in riferimento a qualcuno che parla o agisce impulsivamente, in modo disattento e brusco. Il significato della parola in realtà è “gonfiarsi con liquidi e succhi nutrienti” e l’idea è che la persona è così gonfia di se stesso che prende decisioni poco sagge. Le parole esplodono dal suo essere. Orge e le reazioni impulsive non producono la giustizia di Dio, cioè non adempiono o riflettono la nostra salvezza, che Dio ci ha dato gratuitamente. Al contrario, essi riproducono la propria giustizia, che è difettosa e spesso dannosa per gli altri. La giustizia di Dio è la giustizia di Yeshua, che Egli ha impartito nel credente dopo la Sua morte e risurrezione. Questa è la giustizia attraverso cui Dio ci vede e che impedisce al giudizio di cadere su di noi. Invece di riflettere la propria giustizia sugli altri, dovremmo riflettere la giustizia di Yeshua.

Giacomo ora ammonisce i suoi lettori di mettere da parte “ogni lordura e residuo di malizia”. Il termine perissedian (“residuo” in italiano) può essere tradotto anche con “abbondanza”. Paolo usa la stessa parola per indicare “l’abbondanza della grazia (Ro. 5:17), l’abbondanza della gioia (2 Co. 8: 2) e per l’abbondanza della fede” (2 Co. 10:15). Ma Giacomo parla dell’abbondanza della malvagità. Un diluvio di parole arrabbiate non è da Dio. L’uomo è un essere intelligente, ma la Bibbia dice che nella sua essenza è malvagio. È solo quando riconosciamo la vera essenza del nostro essere che Dio può iniziare a cambiarlo. Il rimedio è ricevere con mansuetudine la parola piantata, la quale può salvare le anime. La “parola impiantata” ci ricorda la prima parabola del regno, dove la Parola di Dio è paragonata anche ad un seme. Nella parabola, un contadino sparge il seme. Il contadino è Yeshua e il seme è la Parola di Dio. Tuttavia, non tutti i semi, non tutti i cuori umani rispondono alla Parola. Il quarto seme della parabola di Yeshua è il sogno che Giacomo ha per noi. È il suolo che risponde alla Parola di Dio, il seme che è saldamente piantato nell’essere del credente. Di questo suolo, Yeshua dice in Matteo 13:23: “Quello invece che riceve il seme nella buona terra, è colui che ode la parola, la comprende e porta frutto; e produce uno il cento, un altro il sessanta e un altro il trenta per uno”. Accadono tre cose quando il seme cade su un terreno fertile: il credente ascolta, comprende e produce frutti.

Yeshua usò la regola del tre e le parole assomigliano a quelle di Giacomo. “Ascoltare” si riferisce all’atteggiamento di consentire allo Spirito di operare nel proprio cuore. “Comprendere” è correlato al fatto che è lento nel parlare e lento all’ira e cerca il significato della Parola. Implica il credere che la Bibbia sia l’infallibile Parola di Dio. Implica anche lavoro e studio: il miglior investimento che si possa fare mentre si è qui sulla terra. “Portare e produrre frutto” è il risultato di un cuore che si abbandona…

Per portare frutto, il credente deve ricevere questa Parola, come dice Giacomo al versetto 21.

Ricevere è riconoscere, accogliere, cogliere; mentre il Signore ha piantato la Parola nel credente, il credente deve accoglierla, crederci e fidarsi di essa. Questo avviene mediante la fede. Giacomo qualifica l’atteggiamento che dovrebbe avere il lettore. Egli deve ricevere la Parola con mansuetudine. La parola “mansuetudine” prende in considerazione il potere della Parola di Dio.

In greco il nome è prautes, che significa “la qualità di non essere eccessivamente colpito da un senso di importanza propria”. Platone usava il termine prautes per descrivere l’aurea mediocritas che porta ad una vita equilibrata. Ci sono persone che conoscono bene le Scritture, ma non sono delle belle persone. Usano la Parola come un’arma, bombardando gli altri con versetti e dottrine quando essi stessi hanno bisogno di amore e compassione. La Bibbia in primo luogo guarisce e conforta e le Sue parole possono essere date solo attraverso persone umili e amorevoli.

Avendo parlato della Parola impiantata e di come riceverla, Giacomo aggiunge un’espressione che ha disturbato la fede di molti. Egli dice che la Parola piantata “è in grado di salvare le anime”. Qui, la salvezza sembra essere espressa al tempo futuro. Questo contraddice la certezza della salvezza? La Bibbia parla di salvezza passata, presente e futura; se manca uno di questi passaggi, si avrà difficoltà a dare un senso all’intero e si correrà il rischio di cadere nelle mani di sette.

Il primo passo è chiamato “giustificazione”. Il credente è stato salvato per sempre e, per quanto riguarda Dio, è stato giustificato mediante la giustizia di Yeshua. Quindi, dal punto di vista posizionale, il credente è salvato per sempre. Il secondo passo è chiamato “santificazione”. Descrive la presente opera di salvezza ed è ciò a cui si riferisce Giacomo. La santificazione è un processo che richiede al credente di dimorare nella Parola di Dio che è stata piantata. Paolo descrive questo passo senza giri di parole quando dice, “compite la vostra salvezza con timore e tremore” (Fl. 2:12). Il terzo passo è ancora futuro ed è chiamato la “glorificazione dell’uomo”. Questo passo avviene durante il rapimento per quei credenti che saranno vivi allora e durante la risurrezione per coloro che saranno già morti. È quando il Signore donerà al Suo popolo un nuovo corpo senza peccato ed eterno. Da questo punto in avanti, il peccato non avrà più effetto sul credente, che sarà con il Signore per sempre. Aggiungendo l’espressione che può salvare le anime alla fine del versetto 21, Giacomo sottolinea che lo studio della Parola piantata è essenziale e indispensabile nella santificazione del credente.

Giacomo descrive questo punto in modo dettagliato nei versetti successivi, Giacomo 1:22-25.Egli inizia ordinando ai suoi lettori di essere “facitori della Parola” (v. 22). L’espressione non descrive un’azione sporadica, ma può essere tradotta come “facitore della Parola”. L’osservazione di Giacomo è che i credenti non dovrebbero semplicemente studiare la Parola, dovrebbero metterla in pratica. Amos manda lo stesso messaggio nelle seguenti parole: “Il leone ha ruggito, chi non avrà paura? Il Signore, l’Eterno, ha parlato, chi non profetizzerà?” (Am 3: 8). Per lui, leggere la Parola è come sentire il ruggito di un leone. Se cammini per strada e senti ruggire un leone, correrai sicuramente il più velocemente possibile per cercare riparo. Allo stesso modo, quando si legge la Parola, chi la comprende e crede a quello che legge non può che diventare un facitore della Parola. Giacomo poi fa un esempio pratico, molto divertente! Dice che chi ascolta la Parola e non la mette in pratica, è come uno che si guarda in uno specchio: vede e riconosce che c’è qualcosa sulla sua faccia, ma non la rimuove e continua a fare i fatti suoi. 

Immagina di gustare un delizioso e gustoso piatto di spaghetti con una ricca e oleosa salsa di pomodoro. Ti piace così tanto che lo mangi tutto. Dopo cena, tiri fuori uno specchio e vedi che hai tutto l’olio rosso del pomodoro intorno alla bocca e alcune macchie di pomodoro sulle guance, ma non le pulisci. Riponi lo specchio dov’era e torni a svolgere il tuo lavoro con il viso sporco. Ti sembra normale? Ecco, questo è ciò che avviene quando qualcuno che legge la Parola di Dio, capisce quello che dice, ma non fa nulla per apportare i giusti cambiamenti nella propria vita.   

Giacomo la mette così nei versetti 23-24: “Poiché, se uno è uditore della parola e non facitore, è simile a un uomo che osserva la sua faccia naturale in uno specchio; egli osserva se stesso e poi se ne va, dimenticando subito com’era”. Giacomo usa un’espressione potente: la faccia naturale. La parola greca tradotta come “naturale” è geneseos, la radice della parola “Genesi”. È anche l’origine della parola “genealogia” in Matteo 1:1. Quindi, “la faccia naturale” è il volto con cui si nasce, il volto della sua vera natura. Poiché la Parola di Dio è così potente, rivelerà l’uomo così com’è.

Nel primo secolo, gli specchi erano molto costosi ed evidentemente molto popolari. Seneca, un filosofo romano e scrittore dei tempi in cui la lettera di Giacomo fu scritta, derideva le donne romane che spendevano tanti soldi negli specchi. Lo storico ebreo Giuseppe Flavio, anch’egli contemporaneo di Giacomo, notò che questi specchi erano fatti dello stesso metallo lucido delle conche presenti nel Tabernacolo (Es. 38:8).

Quale potrebbe essere la relazione? Le conche contenevano l’acqua con cui i sacerdoti si lavavano prima di eseguire qualsiasi compito per il Signore e il processo simboleggiava il secondo dei tre passi della salvezza, la santificazione. Queste conche erano lì per la purificazione dei sacerdoti, ed anche queste erano costruite con lo stesso metallo degli specchi. Poco prima di iniziare il suo lavoro, il sacerdote si sarebbe avvicinato alla conca e si sarebbe immediatamente visto e sicuramente avrebbe aggiustato tutto ciò che non andava prima di eseguire qualsiasi lavoro. È interessante notare che le conche erano gli unici elementi di cui non erano state fornite le dimensioni. Inoltre, esse erano state collocate proprio davanti alla presenza di Dio nel luogo santissimo. Solo due oggetti erano nel cortile esterno: prima c’era l’altare del sacrificio, dove gli animali erano sacrificati, che simboleggia la morte dell’Agnello di Dio, il Messia. Questa è la nostra salvezza passata. Una volta che i sacerdoti superavano l’altare, si ritrovavano con la propria immagine riflessa nella conca. Quindi, si sarebbero aggiustati prima di andare alla presenza di Dio. Nella conca c’era l’acqua, che è un simbolo della Parola di Dio nella Bibbia. Oggi il Signore sta purificando anche la Sua chiesa, come dice in Efesini 5:26: “per santificarla, avendola purificata col lavacro dell’acqua per mezzo della parola”. Ancora una volta, vediamo la santificazione per mezzo della Parola. Questo è ciò che deve aver avuto in mente Giacomo, poiché questo specchio diventa la Parola di Dio stessa: “ma chi esamina attentamente la legge perfetta, che è la legge della libertà, e persevera in essa, non essendo un uditore dimentichevole ma un facitore dell’opera, costui sarà beato nel suo operare.” (v. 25). Il facitore non si guarda allo specchio, ma nella Parola di Dio, che è lo specchio della sua anima.

Giacomo dà alla Parola di Dio due nuovi titoli definendola “legge perfetta” e “legge della libertà”.

Oggi, quando parliamo della legge a un credente, egli può pensare solo alla legge mosaica, ma Giacomo amplia la nostra prospettiva. Questa è la prima delle dieci volte che Giacomo menziona questa legge, e per lui la legge della libertà e della perfezione è l’intera Bibbia.

La parola greca per “legge” è nomos, significa “distribuire”, “assegnare a qualcuno quello che è appropriato” e la connotazione non era sempre negativa. Nonostante fosse usato per descrivere le regole di un gioco o le leggi dello stato, era anche usato per descrivere costumi, tradizioni, matrimoni e persino il modo di cantare una melodia. Giacomo aveva in mente questa connotazione positiva e, per lui, la legge è tutta la Bibbia, compresa la legge di Mosè. Fa dispiacere vedere che quando parliamo della legge mosaica pensiamo solo a giudizi e regolamentazioni. Queste regole erano solo un recinto attorno alla bella legge del Signore. Ricordiamoci di Davide, di come abbia sollevato la Torah che è il termine ebraico per “legge”.

Oggi, la parola “Torah” è usata per descrivere i primi cinque libri di Mosè. Nel suo famoso capitolo sulla Parola di Dio, Salmo 119, Davide ha usato la parola “Torah” 25 volte, dicendo: 

Le meraviglie della Tua Torah (v.18)

Mi diletto nella Tua Torah (v. 70)  

La Tua Torah è il mio diletto (v. 77)  

Oh, quanto amo la Tua Torah

(v. 97, 113, 163)

La tua Torah è verità (v. 142)

Io spero nella tua Torah (v. 147). 

Ciò che Davide vide nella legge di Dio, anche Giacomo lo vide e lo estese a tutte le Scritture. Per lui, è la legge perfetta perché contiene ogni cosa che un credente debba sapere sulla vita e su questo mondo. Spiega come sia stato creato questo mondo, come sia entrato il peccato in questo mondo, come si ottiene la salvezza, dove si sta dirigendo questo mondo e cosa accade dopo la morte.

Giacomo chiama le Scritture anche “legge della libertà”. La Parola di Dio ci dice come ottenere la salvezza dal peccato, liberandoci così dal potente effetto del peccato. Inoltre, lo studio della Scrittura aprirà la propria comprensione e prospettiva di quest’epoca e porterà grandi benedizioni nella vita dell’individuo, come dice Giacomo al versetto 25: “costui sarà beato nel suo operare”. Questo è il segreto di una grande vita qui sulla terra.

Il giudaismo rabbinico insegna anche la libertà che si può ottenere dallo studio della Parola di Dio. Ad esempio nel Talmud, un rabbino citò Esodo 32:16, che dice: Le tavole [cioè i dieci comandamenti] erano opera di Dio e la scrittura era scrittura di Dio, incisa sulle tavole. La parola “incisa” è haruth, e quindi il Talmud dice: “Non leggere ‘haruth’ (inciso) ma heruth (libertà), essi sono scritti allo stesso modo – perché non troverai nessun uomo libero tranne colui che si impegna nello studio della Torah”.

Cos’è, allora, questa legge perfetta della libertà? A differenza di altre leggi, non siamo vincolati ad essa dai comandamenti ma dall’amore. È la legge di Dio, la legge dell’amore. Giacomo sviluppa questa legge nei capitoli seguenti della sua epistola. Per ora, egli incoraggia i suoi lettori a studiare “attentamente” questa legge, in contrapposizione al guardarla e basta. La parola “attentamente” significa “chinarsi”, esattamente come quando Maria si chinò e guardò nella tomba vuota (Gv. 20:11). Qualsiasi approccio alla santa Parola di Dio dovrebbe essere fatto con una mente umile, uno spirito chino, e non come l’uomo che, ogni volta che guarda uno specchio, si inchina a se stesso. L’inchino deve essere rivolto a Dio. Secondo Giacomo 1:26-27, la legge perfetta della libertà produce una religione divina e pura. Una religione è un servizio a Dio; è l’espressione del nostro amore e devozione a Dio. Com’è quindi la nostra religione?

Così come Giacomo ha iniziato questa sezione, così la termina: con il potere della lingua non si può semplicemente dire e non fare; la religione pura è fatta di azione, atti concreti. Se vediamo qualcuno nel bisogno, non è sufficiente dire che stiamo pregando per lui quando possiamo fare qualcosa per lui.

In conclusione, possiamo osservare diversi punti. Innanzitutto, Dio chiede al credente di essere un facitore della Parola, non solo un ascoltatore, uno studente perpetuo. Secondo, Giacomo eleva la Parola di Dio e chiede al credente di essere umile quando la legge e la studia. Terzo, è importante essere veloci ad ascoltare, ma non permettere alle nostre emozioni, ai nostri sentimenti, ai nostri impulsi di dettare il nostro cammino. Non c’è niente di sbagliato nelle emozioni e nei sentimenti, ma non dovrebbero condurre la nostra vita. In quarto luogo, Giacomo paragona la Bibbia ad uno specchio, poiché è lì che gli esseri umani possono comprendere se stessi. In quinto luogo, incoraggia il credente a studiare attentamente le Scritture e le sue leggi e ad applicarle. Uno senza l’altro non funzionerà bene. Un credente diventa un facitore professionista della Parola quando si rende conto che il seme della Parola che Dio ha piantato ha bisogno di un’annaffiatura giornaliera e buona cura.

Questo articolo è uscito per la prima volta su Ariel Magazine – Fall 2019

Tradotto da Tiziana Pepe

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